MARINA BOSCAINO – Scuole e test Invalsi: valutazione all’italiana

Questa storia comincia il 26 ottobre 2011, quando – nella famosissima lettera di intenti del governo italiano alla UE – al punto B (“Creare condizioni strutturali favorevoli alla crescita” e al comma a. (“Promozione e valorizzazione del capitale umano”) si trova scritto: «L’accountability delle singole scuole verrà accresciuta (sulla base delle prove INVALSI), definendo per l’anno scolastico 2012-13 un programma di ristrutturazione per quelle con risultati insoddisfacenti; si valorizzerà il ruolo dei docenti (elevandone, nell’arco d’un quinquennio, impegno didattico e livello stipendiale relativo); si introdurrà un nuovo sistema di selezione e reclutamento».




La dichiarazione desta grande clamore, soprattutto considerando la mobilitazione diffusa che il tentativo di imporre surrettiziamente e obbligatoriamente i test Invalsi al biennio della scuola superiore aveva scatenato nel maggio precedente. Lo scorso anno la protesta si concentrò su diversi motivi:
-        di merito: i test richiederebbero agli alunni competenze che le metodologie didattiche della scuola italiana non prevedono e non favoriscono e produrrebbero quindi risultati non veritieri rispetto agli apprendimenti dei ragazzi; il famoso “valore aggiunto”, le condizioni di contesto nelle quali la scuola opera, e che si riflettono fisiologicamente sul rendimento degli alunni, non vengono considerati;
-        di metodo: agli insegnanti sarebbe stata imposta un’attività impegnativa non contrattualizzata;
-        di politica scolastica: il tentativo si inseriva nell’improvvisata strategia della valutazione – capifila Brunetta e Gelmini – che prometteva molto bastone e poca carota per quei fannulloni degli insegnanti. Una strategia non chiara, non scientificamente volta ad una autentica cultura della valutazione, dai tratti fluttuanti e spesso arbitrari, che non escludeva il sospetto, diffuso in molti, di potersi tradurre in considerazioni tipo: tenuto conto degli apprendimenti degli alunni, vi diciamo tra gli insegnanti chi sono i buoni e chi sono i cattivi, in una sommaria valutazione dei docenti, sorda alla considerazione di una serie di variabili, pure importanti.
Insomma, in maggio molti furono i collegi che si opposero alla somministrazione dei test Invalsi, anche se, come accade nel nostro strano Paese, non ci sono dati certi ed ufficiali su esiti, defezioni, bilanci.
Il 4 novembre 2011, il Commissario Ue Olli Rehn chiede chiarimenti all’Italia, ponendo, per quanto riguarda la scuola, i seguenti quesiti: «13. Quali caratteristiche avrà il programma di ristrutturazione delle singole scuole che hanno ottenuto risultati insoddisfacenti ai test INVALSI?» «14. Come intende il governo valorizzare il ruolo degli insegnanti nelle singole scuole? Quale tipo di incentivo il governo intende varare?»
Le domande sembrerebbero dunque volte a incoraggiare la strada del risanamento e del potenziamento delle scuole, non a vincolare l’Italia a rendere obbligatoria l’erogazione dei test Invalsi. Alcuni Paesi europei investono da decenni risorse economiche ed umane, studio ed intelligenze, per individuare un sistema di valutazione che segnali strategie di individuazione, monitoraggio e intervento delle criticità ed ottimizzare le potenzialità dei sistemi scolastici. Non sempre riuscendoci. Ma, comunque, interpretando la valutazione come uno degli strumenti più sensibili per la determinazione e l’intervento sui problemi degli istituti e del sistema scolastico. Da noi un simile atteggiamento stenta a decollare, perché non c’è mai stato un impiego significativo di risorse; perché non esiste una cultura della valutazione, alla quale dedicare studio e ricerca, senza improvvisare soluzioni dell’ultima ora; e perché il tema della valutazione negli anni recenti è stato strettamente vincolato (ed inficiato) dai proclami punitivi dei cantori del fannullonismo degli insegnanti.
La storia continua. Cambia governo, il periodo della somministrazione delle prove – la primavera – si avvicina. In febbraio il comma 2 dell’art. 51 del decreto legge 5 del 2012 (“Decreto Semplificazioni”) ha stabilito che l’erogazione e la correzione dei test Invalsi rientra nella attività ordinaria d’istituto: i dirigenti non dovranno più chiedere la delibera dei collegi dei docenti per determinare le modalità di partecipazione alle prove, né contrattare compensi aggiuntivi per gli insegnanti volontariamente coinvolti. In altre parole: l’attività connessa è obbligatoria e non necessita di risorse ulteriori. Un’altra testimonianza di una sospetta sordità di questo governo alla voce della scuola.
Il Comitato Scuola e Costituzione, insieme ad altre 12 associazioni, ha inviato ai presidenti e componenti delle Commissioni Affari Istituzionali, Istruzione e Attività Produttive di Camera e Senato Relazione illustrativa un emendamento all’articolo 51 (“potenziamento del sistema nazionale di valutazione”) del decreto Semplificazioni.
“L’emendamento si propone di rendere più scientifici (su campione, come in tutta Europa) e più fruibili per le scuole (eliminazione dell’obbligo) i test di apprendimento preparati dall’Invalsi, che l’art. 51, c.2 del decreto semplificazioni intende rendere obbligatori per le scuole e gli studenti.
L’emendamento propone di considerare le rilevazioni nazionali degli apprendimenti degli studenti effettuate su campione, come uno strumento utile a ‘favorire i processi di autoanalisi e autovalutazione di istituto’, come previsto dalla legge 59/97”, sostiene Bruno Moretto, docente di matematica e fisica, Liceo scientifico Sabin Bologna, segretario del Comitato bolognese scuola e Costituzione, membro del C.N.P.I.
L’emendamento verrà discusso nei prossimi giorni in Senato ed ha già raccolto in 15 giorni più di 2260 firme a sostegno delle modifiche proposte, tra genitori, studenti e insegnanti; intere scuole, come l’Iqbal Masih di Roma, hanno sostenuto l’iniziativa.
Qualsiasi sia l’esito della discussione, rimangono una serie di interrogativi, tra cui quello relativo alla indifferenza di tutti gli ultimi governi su temi centrali che riguardano la nostra professione. E la convinzione chiara che – continuando ad improvvisare, e ad imporre, soluzioni poco convincenti e scarsamente efficaci – si indebolisca ulteriormente il sistema, si accresca il malessere di studenti e personale della scuola; e, al tempo stesso, si svuotino di significato temi (come quello della valutazione) che, se fossero accompagnati da riflessione attenta, studio, investimenti significativi, potrebbero costituire strumenti irrinunciabili per il miglioramento e la capacità della scuola di sviluppare cittadinanza critica e attiva attraverso gli strumenti della cultura.

Marina Boscaino

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