È nata “La Voce della Scuola”, una testata giornalistica online


È nata “La Voce della Scuola”, una testata giornalistica online, registrata presso il tribunale di Napoli, specializzata nel settore scolastico ma aperta al mondo della cultura e della formazione in ogni settore. La nuova testata è un’emanazione dell’associazione di promozione sociale La Voce della Scuola Live, che promuove a sua volta anche la cultura, la comunicazione, l’editoria, l’informazione e il loro uso libero e corretto, al servizio della cittadinanza e in collaborazione con i più svariati soggetti (associazioni, enti non profit, enti pubblici e privati, ecc.).

La cultura, la comunicazione e l’informazione, in tutte le loro forme, sono strumenti preziosi per lo sviluppo, l’educazione e la formazione delle persone e delle comunità e per l’amicizia tra i popoli. La nostra idea era perciò quella di fondare un giornale che non fosse una riproduzione di notizie che rimbalzano ogni giorno da un’agenzia stampa all’altra ma uno strumento di ricerca per chi scrive e per chi legge; una vera sfida, il cui scopo primo e ultimo è di alimentare la coscienza della scuola a partire dai suoi protagonisti. Ecco un rapido elenco dei tanti argomenti che, insieme a tanti altri, ci proponiamo di affrontare: edilizia, sicurezza, legislazione, dispersione e gestione scolastica; concorsi; didattica a distanza; diritto allo studio; inclusione ed educazione civica; formazione e aggiornamento; immobilizzati, ingabbiati e vincolati; precari e “invisibili”; ITP e istituti professionali; middle management; PCTO; pedarchitettura; riforme scolastiche; scuola e territorio; scuola e università; sindacati; social media; spettacolo e società; sport e salute. Fra le rubriche “speciali”: M.I.T.; Trasparenza è Partecipazione; Scuola Bene Comune; Professione Insegnante.


L’idea 


Chissà quante volte ti sarà capitato di ascoltare discorsi che ti hanno lasciato insoddisfatto (perché chi parla non sempre conosce i problemi della scuola), di raccogliere le testimonianze di colleghi meno fortunati di te o di sottoscrivere appelli d’intellettuali per un ritorno alla cultura, all’istruzione, alla vera scuola. Chissà quante volte ti sarai indignato per una legge scritta male, per un provvedimento sbagliato, per un ordine illegittimo o ingiustificato da rispettare, per un’accusa infondata o per una responsabilità che non è tua, e quante volte avresti voluto gridare la tua insoddisfazione, avresti voluto che qualcuno ti capisse, ti rappresentasse, ti dicesse come stavano davvero le cose. Chissà quante volte hai scioperato, o hai sfilato sperando di far sentire la tua voce. Quasi sempre te ne sei andato deluso, perché eravate troppo pochi, o non eravate abbastanza, perché dai portoni, dalle finestre, dai balconi o dalle entrate dei negozi le persone ti guardavano senza capire il senso della tua protesta, quando avresti voluto dirgli che quella protesta era anche la loro. Chissà quante volte te la sei presa coi sindacati, perché non ti sentivi rappresentato, senza capire che anche i sindacati soffrono della tua stessa malattia, la mancanza di strategie, la sindrome da accerchiamento, l’isolamento. Chissà quante volte ti sei indignato per essere considerato un fannullone, un laureato che ruba uno stipendio che non merita, non lavora abbastanza, né a casa né a scuola, ha un sacco di privilegi, ha troppe vacanze e così via. Chissà quante volte ti sei indignato coi politici, che ti imponevano riforme sempre più stringenti, e ti chiedevano sempre di più, dandoti poco o niente in cambio, e quante volte te la sei presa col tuo dirigente, che ti accusava di non saper insegnare, di non sapere gestire le classi, di non lavorare abbastanza, o coi tuoi stessi colleghi, quelli che, anziché schierarsi dalla tua parte, ti lasciavano solo. Troppo spesso avresti voluto protestare, ma non l’hai fatto. Hai preferito startene buono, in disparte, per non avere problemi e non crearti nemici, senza accorgerti che più agivi così più il discredito, la rivalità e l’arroganza dei tuoi avversari crescevano.

Tutto questo soffre degli stessi mali: l’impotenza, la rassegnazione, la solitudine in cui è stata costretta (e si è costretta) la scuola.  Gli insegnanti hanno imparato a inviarsi mail, messaggi o appelli, si sono crogiolati nella dignità della loro professione, si sono compiaciuti per quanto erano bravi a raccontarsi la loro condizione, hanno solidarizzato e, tuttavia, hanno finito per autoescludersi e isolarsi e, senza rendersene conto, hanno accettato di dividersi in mille sottocategorie. Hanno accettato di farsi valutare e di autovalutarsi, pur sapendo che il loro parere non contava niente, e hanno imparato a pubblicizzare le loro scuole nascondendo la polvere (le tante magagne) sotto la cattedra, senza capire che, se fuori della scuola sono visti in un certo modo, è perché sono i primi a nascondere a se stessi la verità dicendosi che tutto va bene. Hanno considerato nemici i genitori dei loro alunni, accusandoli di non essere dei buoni educatori, dimenticando che i genitori sono a loro volta vittime di una società imbalsamata e, ultimamente, regredita. Hanno spesso considerato nemici i loro stessi studenti, li hanno accusati di non saper neppure protestare senza capire che questa scuola non insegna neanche a protestare perché non sa davvero ribellarsi. Hanno inviato i loro appelli ai politici, e hanno continuato a farlo anche quando si sono accorti che non erano in realtà interessati ai problemi della scuola e degli insegnanti. Pensavano di avere il diritto di protestare, convinti che, prima o poi, qualcuno li avrebbe sentiti, ma non si sono accorti che nessuno li ascoltava perché nessuno poteva sentirli. Alla fine, sono rimasti da soli a raccontarsi tutto questo, a confondere la scuola con la loro categoria, a difendere i loro ragazzi e le loro ragazze dai disastri di un’istruzione sempre più avara di cultura e di risorse.

C’è sempre una venatura eroica, e al tempo stesso un po’ malinconica, nei discorsi degli insegnanti, come di chi abbia sperimentato tante volte il fallimento di un’idea inseguita per un’intera vita senza riuscire mai a realizzarla: insegnare. Se in anni di grandi trasformazioni, più subite che condivise, non sono mancati i richiami alla mobilitazione e alla protesta, e poi le manifestazioni e gli scioperi in difesa dell’istruzione e della scuola, i vari appelli sono purtroppo caduti ogni volta nel vuoto anche per l’impotenza di una categoria delusa, divisa, demotivata, inascoltata e, spesso, rassegnata alla sconfitta. Una soluzione a tutto questo è però stata sempre a portata di mano, davanti ai nostri occhi: anziché alimentare le divisioni è necessario unirsi e allearsi con chi abbia veramente a cuore la scuola, per rompere definitivamente il suo isolamento. Piuttosto che nascondersi la verità, come troppe volte è accaduto, è necessario far conoscere anche all’esterno ciò che succede nelle nostre scuole. Solo così si può pensare di raggiungere una piena consapevolezza di sé e di proiettarla in un disegno, in una visione del futuro. Soltanto quando avranno condiviso il loro lavoro con le famiglie degli alunni, perché conoscano a fondo il contesto in cui studiano i loro figli, e le reali condizioni in cui operano, gli insegnanti potranno chiedere e ottenere – quando necessario – il loro aiuto. L’isolamento si può spezzare solo con l’informazione e la trasmissione culturale, e lo si può fare attraverso la nascita di un movimento, aperto a tutti, che organizzi ogni anno un meeting sulla scuola pubblica, con feste, concerti, conferenze, dibattiti, mostre o concorsi, le testimonianze degli insegnanti, degli alunni e dei loro genitori, la presenza di intellettuali e scrittori e la partecipazione di lavoratori e persone comuni, così da creare una cassa di risonanza tanto potente da non poter essere ignorata. 

La Voce della Scuola non vuole essere un giornale di protesta ma un mezzo culturale, aperto alla collaborazione di tutti, che racconti le storie di chi vive e conosce la realtà scolastica, uno strumento per una rivoluzione culturale del nostro paese non più rinviabile.