Il gesto di Gianmaria Favaretto, il liceale padovano che si è presentato all'orale della Maturità e, dopo aver stretto la mano ai membri della commissione, ha dichiarato: "Signori, grazie di tutto, ma il mio esame finisce qui", ha scosso il mondo della scuola e non solo. Non si è trattato di un capriccio o di un atto di maleducazione, ma di una protesta civile e calcolata, volta a contestare un sistema che, a suo dire, valuta la maturità degli studenti esclusivamente sui voti, generando un clima di stress e competizione esasperata.
Ciò che colpisce della vicenda di Gianmaria è la sua lucidità e la sua fermezza. Il ragazzo aveva già in tasca il punteggio minimo per la promozione grazie ai crediti formativi e alle prove scritte. Avrebbe potuto completare l'esame e ambire a un voto ben più alto, ma ha scelto di pagare un prezzo – la bocciatura – pur di far sentire la sua voce. Una scelta coraggiosa, che lo distingue da quel prototipo di "vero italiano" descritto da Montanelli, sempre pronto a protestare ma poi ad accodarsi, a minacciare sfracelli per poi accontentarsi delle briciole.
La protesta di Gianmaria è stata esemplare anche per le sue modalità: senza sbraitare, senza intralciare gli altri, ha messo in atto un atto di disobbedienza moderato ma estremamente efficace. Il suo scopo, far parlare di sé e delle sue ragioni, è stato pienamente raggiunto. La sua vicenda ha innescato un dibattito sulla validità di un sistema di valutazione che, forse, ha perso di vista il vero significato di "maturità".
Il suo gesto ci invita a riflettere: è davvero immaturo chi, con consapevolezza e pacatezza, decide di opporsi a un sistema in cui non si riconosce, accettando le conseguenze delle proprie azioni? O forse la vera immaturità risiede nel conformismo e nella paura di mettersi in gioco per ciò in cui si crede? Gianmaria, con la sua scelta, sembra aver dimostrato una maturità ben più profonda di quella che un voto su una pagella potrebbe mai esprimere.