"Io non ci sto!". Così esordisce il Prof. Aldo Domenico Ficara, nel leggere la lettera di Pietro Marconcini. Provo sì comprensione per il profondo disagio espresso dallo studente, ma al contempo un senso di profonda frustrazione e ingiustizia. La sua lettera, pur nascendo da un'esperienza personale di sofferenza, rischia di generalizzare e sminuire l'impegno, la passione e la professionalità che migliaia di docenti mettono in campo ogni giorno.
Il mio "io non ci sto" nasce da alcune innegabili verità che sento il dovere di ribadire:
Non siamo solo "Boia del Voto"
Il voto è uno strumento. Imperfetto, certo, ma necessario per monitorare il progresso e individuare le aree di miglioramento. Ridurre il nostro ruolo a quello di "boia dell'ascia" ignora tutto il lavoro di accompagnamento, supporto e valorizzazione che svolgiamo. Molti di noi credono fermamente in una valutazione formativa, orientata alla crescita dell'individuo, non alla mera classificazione. Non è l'insegnante a voler incasellare, ma il sistema che, pur con le sue storture, richiede parametri oggettivi.
La "competizione tossica" non è il nostro obiettivo
Nessun docente entra in classe con l'intento di creare un clima di stress o ansia. Al contrario, la nostra missione è stimolare la curiosità, promuovere la collaborazione e lo spirito critico. Se la competizione diventa "tossica", è spesso il riflesso di pressioni sistemiche o aspettative sociali che esulano dalla singola aula. Noi stessi cerchiamo quotidianamente di mitigare queste dinamiche. La scuola dovrebbe essere un luogo di crescita, non di battaglia.
Ci preoccupiamo della "reale formazione delle persone"
La scuola non è solo un luogo di trasmissione di nozioni. Siamo pienamente consapevoli che stiamo formando i futuri cittadini di questo Paese, e per questo ci impegniamo a sviluppare competenze trasversali, senso civico, empatia e pensiero critico. Molti di noi dedicano tempo ed energie a progetti extracurricolari, attività di ascolto e percorsi di orientamento proprio per andare oltre il programma ministeriale e il mero voto. La nostra soddisfazione più grande non è un numero sul registro, ma vedere i nostri studenti diventare persone complete e consapevoli.
La scuola non è fatta per "far star male"
L'idea che la scuola possa essere causa di crisi nervose o, peggio, di tragedie, è devastante per chi le dedica la propria vita. Se si verificano situazioni di disagio estremo, sono il sintomo di problemi più ampi, che possono riguardare il sistema scolastico nel suo complesso, ma anche il contesto sociale ed emotivo degli studenti stessi. Come docenti, siamo spesso i primi a riconoscere e a cercare di affrontare queste difficoltà, a volte sentendoci impotenti di fronte a risorse insufficienti o a problemi troppo grandi da gestire da soli.
Siamo parte della soluzione, non solo del problema
Molti insegnanti sono in prima linea nel chiedere riforme, nel proporre metodologie innovative e nel lottare per una scuola più inclusiva, stimolante e a misura di studente. Sentirsi additati come parte di un sistema "alienante e cieco" senza riconoscere gli sforzi individuali e collettivi è demoralizzante. Il grido di Pietro è un campanello d'allarme che non va ignorato, ma il cambiamento richiede un dialogo costruttivo che riconosca la complessità del sistema e la dedizione di tutti i suoi attori.
Rimettere al centro l'ascolto della comunità studentesca è fondamentale, ma altrettanto lo è riconoscere il valore di chi, giorno dopo giorno, è in classe per educare e ispirare. Il mio "io non ci sto" è una richiesta di rispetto e riconoscimento per una professione che è, prima di tutto, una vocazione.