Maturità: 4 alunni fanno notizia, ma nessuno parla degli Insegnanti che non arrivano a fine mese

 



Mentre i riflettori sono puntati su quattro studenti che, con un gesto plateale, hanno scelto di disertare l'orale della maturità conquistando le prime pagine dei quotidiani, un dramma ben più grande e silenzioso si consuma nelle aule di tutta Italia. Insegnanti, colonna portante del nostro sistema educativo, stanno rinunciando in massa alle supplenze nelle grandi città del Nord, soffocati da stipendi che non permettono loro una vita dignitosa. E, sorprendentemente, nessuno sembra farci caso.

Il clamore mediatico attorno a pochi studenti ribelli, per quanto legittimo nel suo desiderio di esprimere un disagio giovanile, contrasta stridentemente con l'indifferenza generale verso una questione che sta minando dalle fondamenta la qualità dell'istruzione pubblica. Il gesto di protesta alla maturità, pur discutibile nelle sue modalità, ha avuto il merito di generare dibattito. Ma perché lo stesso livello di attenzione non viene riservato a chi, ogni giorno, si trova a fronteggiare una realtà economica insostenibile?

Molti docenti, specialmente quelli più giovani e precari, si ritrovano a dover scegliere tra la passione per l'insegnamento e la necessità di sbarcare il lunario. Un supplente che da Sud si trasferisce in una città come Milano, Torino o Bologna si trova di fronte a costi di affitto, trasporti e vita quotidiana talmente elevati da annullare, di fatto, il proprio stipendio. La conseguenza è drammatica: cattedre che restano scoperte, classi senza un insegnante fisso per mesi, continuità didattica compromessa e, in ultima analisi, un danno incalcolabile per gli studenti.

Questo fenomeno non è solo una questione di singoli sacrifici individuali; è un campanello d'allarme fortissimo che ci parla di un sistema al collasso. Se la professione docente non è più attrattiva, se non garantisce una sussistenza dignitosa, chi assicurerà la formazione delle future generazioni? Il rischio è quello di veder fuggire i talenti migliori, di avere classi sempre più sguarnite di figure qualificate e motivate.

È tempo di invertire la rotta. È urgente che la politica, i media e l'opinione pubblica smettano di focalizzarsi solo sulle eccezioni e inizino a guardare alla norma, a quei silenzi che celano problemi ben più profondi. La scuola non è solo l'edificio fisico o i programmi ministeriali; è fatta di persone, di professionisti che meritano rispetto e condizioni di lavoro eque. Solo così potremo garantire un futuro all'istruzione del nostro Paese, prima che il silenzio diventi assordante e irreversibile.