Ponte sullo Stretto e tutela ambientale: il nodo del metodo




Il dibattito sul finanziamento e sulla realizzazione del Ponte sullo Stretto si è recentemente arricchito di un contributo critico pubblicato su Il Sole 24 Ore dal professor Aldo Domenico Ficara. Nel suo commento, l’autore sottolinea un aspetto dirimente: la questione centrale non risiede nell’opera in sé, ma nel metodo scelto per portarla avanti.

Secondo Ficara, l’ipotesi di classificare il Ponte come infrastruttura strategica per la difesa nazionale, con la conseguente possibilità di bypassare le Valutazioni di Impatto Ambientale (VIA), non rappresenta un semplice escamotage tecnico, bensì un cambio di paradigma. L’ambiente verrebbe infatti ridotto da bene comune da tutelare a ostacolo procedurale da aggirare.

La funzione della VIA

La Valutazione di Impatto Ambientale non è una formalità burocratica, ma uno strumento cardine previsto dalle direttive europee (in particolare la Direttiva 2011/92/UE, modificata dalla 2014/52/UE) per garantire che i progetti con impatti significativi sull’ambiente siano sottoposti a un’analisi tecnico-scientifica preventiva. Essa consente di individuare, mitigare o evitare effetti irreversibili su ecosistemi, risorse naturali e salute pubblica.

Escludere il Ponte da tale procedura equivarrebbe, secondo Ficara, a sostituire l’approccio basato sul principio di precauzione con una logica di mera convenienza politica ed economica. È questo il “salto culturale” che l’autore definisce un arretramento: dal controllo scientifico indipendente alla decisione discrezionale delle istituzioni.

Il rischio del precedente

Il punto critico sollevato dal commento è che il Ponte potrebbe fungere da precedente. Una volta introdotta la possibilità di etichettare un’opera come “difesa nazionale” per escluderla dalla VIA, il meccanismo diventerebbe applicabile ad altre infrastrutture ad alto impatto: porti, aeroporti, basi militari, centrali energetiche o depositi strategici. Si aprirebbe così la strada a una “deroga sistemica” che svuoterebbe di fatto il sistema di protezione ambientale costruito in decenni di evoluzione normativa europea e nazionale.

Un banco di prova istituzionale

La riflessione proposta da Ficara invita quindi a spostare il fuoco del dibattito: non è soltanto il Ponte a essere in discussione, ma la credibilità delle istituzioni nel rispettare i principi di tutela ambientale sanciti dal diritto europeo e dalla Costituzione italiana (articolo 9, che riconosce l’ambiente tra i valori fondamentali della Repubblica).

Se il criterio della “difesa nazionale” diventa un passe-partout per accelerare opere complesse, si rischia di creare un conflitto strutturale tra gli obblighi internazionali assunti in ambito NATO e quelli derivanti dall’ordinamento europeo e nazionale in materia ambientale.

Conclusioni

Il commento del professor Ficara va letto non come un giudizio di merito sull’utilità o meno del Ponte, ma come un avvertimento metodologico. L’opera diventa emblematica di una tensione più ampia: quella tra sviluppo infrastrutturale, vincoli di spesa militare e tutela ambientale.

Il vero interrogativo posto alla collettività è se sia accettabile sacrificare il principio della valutazione tecnico-scientifica in nome della rapidità decisionale e della “ragion di Stato”. Una scelta che, se intrapresa, rischierebbe di segnare un arretramento culturale e giuridico di lungo periodo, con conseguenze ben oltre i confini dello Stretto.