Aboliamo il “mercimonio legalizzato del titolo di studio”

Il senso logico della realtà delle cose, a mio modo di vedere,  è custodito, sublimemente,  nel codice del pensiero matematico. L’importanza di questo mio convincimento, mi ha spinto, fin da ragazzo , ad amare e studiare con estrema passione questa disciplina. Quotidianamente trasmetto, nel mio ruolo di docente, il mio “personale” sapere e il metodo per apprenderlo, spiegando ai miei alunni il potere che è insito nel codice matematico. Sono fortemente convinto che, se la logica e la matematica fossero state materie centrali  nel nostro sistema educativo di istruzione, avremmo avuto una società più sensata, più razionale e quindi più giusta.

Una società, basata sui valori e il rigore logico che insegna la matematica, non avrebbe visto il declino che stiamo vivendo, ma avrebbe avuto la capacità di formare una classe dirigente autentica, competente e lucidamente razionale. Una società abituata a ragionare, ad amare il bene collettivo e quindi a formare una classe dirigente qualificata e responsabile, non avrebbe dovuto porsi il problema se abolire, oppure no, il valore legale del titolo di studio, ma avrebbe agito in modo tale da fare conseguire il titolo culturale alle persone fortemente motivate e capaci di acquisire le competenze opportune. Il problema sollevato dal MIUR, attraverso il sondaggio “Consultazione pubblica sul valore legale del titolo di studio”, è un falso problema, perché viene posto da una classe dirigente che proprio attraverso i propri titoli di studio ha acquisito il potere. I titoli di studio e le relative competenze acquisite attraverso i loro conseguimenti, non dipendono dall’ateneo in cui ti sei laureato o dal docente relatore della tua tesi di laurea, ma piuttosto dalla persona che sei e dai valori etici-culturali che coltivi quotidianamente. Il titolo culturale, anche se raggiunto con merito, non è una certificazione che garantisce ” ad  vitam  aeternam “ la tua competenza. Il titolo culturale è una condizione necessaria ma non sufficiente, da solo e per tutta la vita, a garantire la qualità di un professionista. Infatti per diventare bravi docenti, non è necessario possedere un titolo culturale prestigioso , ma piuttosto bisogna aver fatto una buona esperienza di insegnamento decennale , coltivando, nel percorso da docente,  il proprio sapere e  la propria didattica attraverso una mirata formazione e un attento auto-aggiornamento. Nel nostro Paese, che io amo definire il “paese alla rovescia”, il titolo culturale ha perso il suo valore legale, in quanto è stato concesso, in stile mercimoniale, a tante persone che senza alcun merito lo hanno conseguito. Da buon Calabrese ricordo le parole, attualissime, di Corrado Alvaro: “molte lauree, molti diplomi, non fanno dell'Italia un paese di cultura”, infatti incontriamo nel quotidiano laureati indegni del loro titolo, persone che profanano continuamente, senza perdere occasione,  il valore legale del loro titolo culturale. A mio modo di vedere il problema del valore legale del titolo di studio non viene risolto abolendolo, invece verrebbe risolto, abolendo il mercimonio che permette a tanti inetti e incompetenti di ottenere l’agognato titolo culturale, che spesso coincide con l’inizio di una gloriosa carriera dirigenziale o politica. Nel “Paese alla rovescia” c’è bisogno urgente di quel rigore matematico, capace di invertire la rotta, restituendo al titolo culturale  e alle persone che lo conseguono con molti sacrifici, il valore etico e legale che merita.

Lucio Ficara