La scuola dell’apparenza: quando le corna di renna oscurano il sapere

 


Tanti presidi con le corna di renna in testa, foto sorridenti, pose studiate e immancabile pubblicazione sui social per testimoniare quanto la scuola “sappia stare al passo coi tempi”. Il Natale diventa così un set fotografico, più che un’occasione educativa, e la dirigenza scolastica sembra sempre più impegnata a curare l’immagine piuttosto che la sostanza.

Non è una questione di spirito natalizio o di leggerezza — elementi legittimi in una comunità educativa — ma di priorità. Quando l’attenzione si concentra ossessivamente sull’apparire, sul racconto social dell’evento, sulla vetrina pubblica della scuola “felice”, il rischio è quello di svuotare di significato il ruolo profondo dell’istituzione scolastica: la trasmissione del sapere, il pensiero critico, la formazione culturale e civile.

La scuola non è un brand, né un profilo da ottimizzare in termini di visibilità. È un luogo complesso, spesso faticoso, che richiede rigore, visione pedagogica e responsabilità. Ridurla a una sequenza di immagini rassicuranti e festive serve forse a tranquillizzare l’opinione pubblica, ma non risponde alle sfide reali dell’istruzione contemporanea.

Inseguire costantemente l’approvazione attraverso l’apparenza rischia di trasformare la scuola in un palcoscenico. E quando il palcoscenico prende il posto dell’aula, il sapere diventa un dettaglio scenografico, non più il centro della scena.

Le foto sui social finiscono così per svolgere una funzione precisa: fare pubblicità alla scuola, trasformandola in un open day permanente, continuo e non dichiarato. Un racconto visivo costruito sull’apparire fine a se stesso, dove sorrisi, addobbi e rituali sostituiscono il confronto serio su didattica, risultati, criticità e visione educativa.

In questo meccanismo la comunicazione non accompagna il progetto formativo, ma lo rimpiazza. La scuola diventa una vetrina, costantemente impegnata a mostrarsi accogliente e “giusta”, mentre il lavoro quotidiano — spesso complesso, contraddittorio e silenzioso — resta fuori dall’inquadratura. È una narrazione rassicurante, ma superficiale, che privilegia l’immagine rispetto alla sostanza e confonde la promozione con la missione educativa.

Quando l’istituzione scolastica sente il bisogno di legittimarsi attraverso l’esposizione continua, il rischio è chiaro: non formare cittadini pensanti, ma consumatori di immagine, abituati a valutare la scuola non per ciò che insegna, ma per come appare.